Bellissimo e devastante: cronache musicali del 2021

Ho sempre avuto un rapporto di amore e odio con le classifiche di fine anno, eppure, ogni dicembre, è un feticismo a cui non posso resistere. Parlare ancora una volta della musica che ci ha fatto emozionare, provare a mettere ordine in quel macello che è ciò che abbiamo ascoltato in un anno intero, fare finta che si possa davvero stilare una classifica sensata dei dischi migliori. Non posso resistere. Nonostante questo, ogni volta che leggo le classifiche di fine anno mi assalgono le paranoie sul non aver ascoltato quanto avrei voluto, sull’essermi perso dischi meravigliosi, sul non aver capito nulla della musica che ho ascoltato. E poi c’è quella domanda che continua a martellarmi: ma perché cazzo le classifiche di fine anno escono tutte ad inizio dicembre?

Non importa, ci provo lo stesso.

In questa classifica ci sono ovviamente i dischi migliori usciti quest’anno – tra quello che ho ascoltato – ma ho aggiunto altri dischi e canzoni meravigliose del passato che ho scoperto negli ultimi dodici mesi. Ovviamente, non c’è un vero ordine. Buona lettura.

 

Pool – Skee Mask (Ilian Tape, 2021)

A dire la verità, ho ascoltato davvero poche volte alcuni dei dischi di cui scriverò qui, alcuni solamente una. Fa eccezione Pool di Skee Mask, disco a cui sono tornato ancora e ancora. Ogni volta che mi immergo nella sua folle cascata di suoni ne scopro nuovi particolari. Ma più ascolto Pool e meno mi sembra di averlo afferrato: a volte ne scopro il lato ambient, a volte il lato più IDM e contaminato da Richard James, a volte il lato più techno e dance. Ogni volta becco un’angolazione diversa di queste canzoni, e ancora non ho capito cosa siano esattamente. Bryan Müller ha creato un disco mondo: complesso, colorato, stratificato, in altre parole inesauribile.

Music for Psychedelic Theraphy – Jon Hopkins (Domino, 2021)

Sono settimane che provo a scrivere una recensione che possa rendere giustizia a questo disco. Non è facile. Music for Psychedelic Theraphy, come altri dischi di questa classifica, pretende dall’ascoltatore un’attenzione speciale ed esclusiva. Ti richiede di stenderti, mettere le cuffie ed ascoltare, ascoltare con attenzione, e nel frattempo osservare il flusso dei tuoi pensieri che sembra seguire quello della musica. Una seduta di meditazione, in altre parole. Io non lo so – come dice Jon Hopkins – se questo è davvero il suo disco migliore, ma non è questo il punto. Music for Psychedelic Theraphy è un disco che ha un impatto quasi fisico sulla mente, che riesce a pulirla, a restituirla nuovamente calma e a fuoco, libera da tutto lo sporco che accumuliamo nella frenesia di ogni giorno.

Promises – Floating Points, Pharoah Sanders e The London Symphony Orchestra (Luaka Bop, 2021)

Lo ammetto, questo è uno dei preferiti dell’anno che ho ascoltato solo una volta. C’è una categoria di appassionati di musica che possono ascoltare un disco mezza volta e capirne ogni sfumatura ed ogni suono. Io non sono decisamente tra questi. Eppure mi è bastato ascoltare Promises solo una volta, per poter dire che è un album speciale, per dirla con la sicurezza telegrafica di Four Tet: the best album that’s coming out this year”. Ricordo benissimo che era una domenica mattina di sole e l’ho ascoltato nel letto, non muovendomi per non rovinare la bellezza di quello che stava accadendo nelle mie orecchie.

Promises è un viaggio – davvero. Il grumo di suono che si ripete con minime variazioni per tutti i 50 minuti e che fa da guida per tutta l’esplorazione che si svolge nel frattempo, mi ricorda un passo leggero nell’erba alta. Tutto attorno a questo motivo si aggrappano, scorrono, volteggiano gli archi, i fiati, il sax di Pharoah Sanders, l’elettronica liquida e leggerissima di Sam Sheperd. Non c’è davvero molto da aggiungere: il disco riesce perfettamente ad essere quello che vuole essere, un viaggio attraverso la musica per il piacere della musica.

Hey What – Low (Sub Pop, 2021)

Proverei a parlare di questo disco, a descriverlo, ma finirei con il fallire miseramente. Quindi dirò questo: ho ascoltato Hey What soltanto una volta, perché non sono più riuscito a tornarci. I Low sono troppo densi, troppo oscuri, troppo ingombranti. Non ce la faccio. Questo disco mi richiede troppo, più di quanto sia risposto a dargli. Rimango però con la sensazione della sua musica sporca e rumorosa, eppure al tempo stesso dolce e melodica, del crescendo delle sue canzoni partite da un sussurro, delle chitarre distorte e ormai quasi irriconoscibili, del rumore come mezzo per esprimere quello che le parole non possono più. Continuo a pensare che quello che stanno facendo i Low è un miracolo, e che nessuno come loro sta riuscendo a dare un suono a questi anni di follia. La loro musica, sospesa tra il pianto e la preghiera è difficile, ma importante.

Danzindan-Pojidon – Inoyama Land (Yen Records, 1983)

Degli Inoyama Land ne ho già parlato a profusione in una recensione specifica, ma non mi dispiace rifarlo. Questo duo nei primi anni 80 era all’avanguardia della scena ambient giapponese, la cosiddetta Kanyo Ongaku: Danzindan-Pojidon è il loro primo disco, e nonostante i due abbiamo pubblicato molta altra musica ugualmente meravigliosa, rimane unico. Preso nella sua interezza, infatti, Danzindan-Pojidon fa pensare ad un viaggio in un luogo a metà tra un paese delle fate e le profondità oceaniche. Ogni traccia è incredibilmente distinguibile e mescola sintetizzatori, pianoforte, strumenti tradizionali di ogni tipo. Su tutte si distingue il capolavoro psichedelico che è Wasser.

Stormur – Yagya (A Strangely Isolated Place, 2019)

Il 2021 è stato l’anno di Yagya. Spotify Wrapped – che come al solito sbaglia tutto – me l’ha addirittura dato come artista più ascoltato dell’anno. Dei dischi di Yagya, alcuni dei quali ho effettivamente ascoltato a rotazione, quello che ho vissuto di più è stato Stormur. Stormur è un disco techno come solo la techno può essere: immersivo, ipnotico, visionario. Adaldstein Gudmundosson lascia da parte le atmosfere eteree e sospese che l’hanno reso famoso e mette in campo un’elettronica esattissima, misurata, minimale e atmosferica, mescolando dub techno e deep techno ad altre influenze più hard (come ad esempio in Attundi Stormur). Come al solito, il produttore islandese fa sempre discutere i suoi appassionati, perché con ogni disco si reinventa da capo, ma su una cosa è impossibile essere in disaccordo: quando Yagya fa qualcosa, la fa sempre con stile.

Calm Like a Millpond – Pass Into Silence (Kompakt, 2004)

Calm Like a Millpond è un disco ambient minuscolo, quasi insignificante, eppure straordinario. I Pass Into Silence hanno pubblicato queste cinque tracce, hanno postato qualcosina su YouTube e poi sono scomparsi nell’oblio più totale. A parte i loro nomi non so davvero nient’altro, ma in fondo va anche bene così. Calm Like a Millpond basta per quello che è: un piccolo tesoro a cui tornare ancora e ancora, semplicissimo e sincero.

Apollo – Brian Eno, Daniel Lanois e Roger Eno (EG, 1983)

Non credo ci sia davvero bisogno che io descriva questo album, ma lo farò lo stesso, perché qualsiasi esplorazione ambient non può che partire da Brian Eno. Ammetto di trovare parte della discografia di Eno un po’, come dire, interessante ma non piacevole. Da museo, quasi. Diciamo che quando ho un’ora libera, il primo disco che vorrei ascoltare non sarebbe Thursday Afternoon. Ma con Apollo è totalmente diverso: l’ambient diventa viaggio, diventa immagine, diventa cinema. Apollo riesce a fare davvero quello che si propone: farti vedere ad occhi chiusi navicelle in orbita, passeggiate spaziali, desolanti distese lunari. E poi, An Ending (Ascent), rimane per me anche dopo quasi 40 anni la canzone ambient per eccellenza, assoluta e insuperabile.

Deep Blue – Luigi Tozzi (Hypnus Records, 2014)

Deep Blue – come qualsiasi uscita di Luigi Tozzi – è una discesa nel profondo degli abissi marini. Luigi Tozzi è deep techno in purezza. Il basso caldo e profondo, la batteria minimale, l’elemento ambient e le melodie ipnotiche. Ogni disco di Luigi Tozzi merita di essere ascoltato, ma fra tutti credo che il primo Deep Blue sia l’essenza del suo suono, un viaggio che riassume tutto. Un disco esatto come pochi.

Aggiungo qui in calce un po’ di canzoni che hanno davvero fatto questo 2021, trovate quasi tutte per caso. C’è un po’ di tutto, soprattutto musica dance.

Sallow Myth – HVL (Da Ostati: Organic Analogue Records, 2018)

Qualche mese fa stavo lavorando ad un articolo – mai uscito – sulla strenua resistenza della scena techno di Tblisi, capitale della Georgia. Sul modo in cui la cultura techno e pochi club coraggiosi stanno costruendo un universo parallelo alla mentalità tradizionale georgiana: un universo libero, giovane, queer, davvero aperto al futuro.

HVL è un produttore nato da questa scena e che ha ricavato un piccolo seguito davvero appassionato. Ho ascoltato la sua Sallow Myth milioni di volte e ad ogni ascolto– come tutte le buone canzoni – ne ho scoperto un lato diverso. Il brutalismo del basso e della batteria, la malinconia del sintetizzatore quasi ambient, l’ipnosi della melodia acid. Sallow Myth è davvero come la scena di Tblisi che l’ha generata: oscura, fisica, senza compromessi.

Maybe – Kettenkarussel (Giegling, 2018)

E’ deep house alla massima potenza: leggera, elegantissima, sensuale, piena di stile. Non credo si possa aggiungere molto altro.

The Sun – Kim Jung Mi (da Beautiful Rivers and Mountains: Light in The Attic, 2011)

Le mattine migliori sono state quelle passate con l’Early Bird Show di NTS e le voci sussurrate dei suoi host: “Hello hello hello. Good morning everyone”. È così che ho scoperto questa perla coreana di Kim Jung Mi. Ho ascoltato The Sun così tante volte durante quest’anno per un semplicissimo motivo: ha una melodia meravigliosa che ti entra in testa. Non c’è davvero molto altro: è una di quelle canzoni semplicemente indovinate. Non ho la minima idea di cosa dica il testo, men che meno di chi sia Kim Jung Mi, ma in fondo non mi interessa granché. Mi basta The Sun.

Let the Snakes Crinkle Their Heads to Death – Klimek (da Pop Ambient 2005: Kompakt)

Il lento arrivare dell’autunno di Torino ha portato le raccolte Pop Ambient della Kompakt. Una miniera inesauribile di quella malinconia, quella serenità, quella sensazione che solo alcune canzoni ambient sanno esprimere. È un rito che mi ha accompagnato e mi accompagna ancora: scegliere una delle raccolte senza pensarci troppo, far scorrere lentamente le sue canzoni che si prendono tutto il tempo del mondo, che passano quasi inosservate, farci caso improvvisamente e lasciarsene trasportare per un po’.

Let the Snakes Crinkle Their Heads to Death (da Pop Ambient 2005) è una canzone di un’emotività compressa e quasi dolorosa. È una canzone che inizia lentamente, preparando con pazienza l’esplosione di una nota, una singola nota che da sola è tutta la traccia, tutta la raccolta.

SCFGM-08 – Spherical Coordinates (da Kinematic Equations EP: Token, 2014)

A febbraio o marzo eravamo un po’ tutti chiusi dentro casa, a cercare di stare dietro ai colori delle regioni. Io ricordo che la sera guardavo i dj set di Daniel Avery, chiuso in camera: una cosa abbastanza triste, a pensarci ora. È così che ho scoperto questa traccia di una techno precisa, tagliente, perfetta per esploderti nelle orecchie e far vibrare i muri. SCFGM-08 è l’ipnosi: un mantra velocissimo e incalzante, ripetuto fino a permetterti di fondere con il suono. SCFGM-08 è una techno che ti trascina e ti porta con sé, alla quale è necessario arrendersi totalmente.

Che poi, a pensarci ora, il 2021 è stato un anno niente male. Un anno strano, se possibile ancora di più del 2020. Avrei ancora altra musica da aggiungere, dai Goodspeed You! Black Emperor ai Two Shell. Perché in fondo è questo che facciamo: trovarci nelle cose che ascoltiamo, in quelle che vediamo, in quelle che leggiamo, nei viaggi che facciamo. Ma credo che questa musica riassuma bene quest’anno sospeso tra ambient, techno e mattinate alla radio. Per questo mi fermo qui ed evito di allungare il brodo. Buon ascolto.