I dischi più belli che ho ascoltato nel 2023

A partire da fine novembre, qualunque pubblicazione e qualunque appassionato di musica inizia a stilare le classifiche di fine anno. Io aspetto nell’ombra, perché mi sembra ancora un po’ troppo presto. Però è un periodo utile per osservare e riflettere su cosa ascoltiamo, come lo ascoltiamo e soprattutto perché.

In questo periodo sto pensando molto a tutte le pressioni che come persone sentiamo dall’esterno, e soprattutto su quelle che immaginiamo e che non esistono neanche. Ad esempio, rimanendo nell’ambito musicale, penso spesso che dovrei ascoltare più musica, dovrei ascoltarla meglio, che mi sto perdendo le cose migliori. Apro Twitter e tutti parlano di migliaia di dischi di cui non ho mai sentito parlare e che non riuscirò mai ad ascoltare. È incredibile che noi esseri umani (o per lo meno io) riusciamo a farci le pare anche sulla musica: su una passione che non dovrebbe essere regolata da nulla e che, in ultima analisi, non serve a nulla. Non lo so perché, ma a volte mi sembra di star trasformando in lavoro qualcosa che dovrebbe essere semplicemente un divertimento.

È davvero difficile evitare di far diventare la passione per la musica in una competizione, in una lista infinita di dischi ascoltati, di voti, di minuti di musica ascoltati. Eppure penso che bisogna provarci.

Quindi, sì, i dischi sono pochi, ma almeno non sono una semplice lista della spesa. Sono dischi belli, che uno ad uno hanno brillato durante tutto l’anno e che meritano di essere ascoltati. Niente cifre tonde, niente dischi ascoltati mezza volta per fare numero. Solo musica bella.

Inizio con gli album più belli che ho ascoltato, rigorosamente in ordine casuale, poi ci sono gli EP.

 

The Invention of the Human, Dylan Henner (AD 93, 2020)

Sì, teoricamente non sto stilando una classifica, ma se devo essere sincero questo è il disco più bello che abbia ascoltato in questo 2023 appena concluso. The Invention of the Human è uno di quei dischi a cui sono ritornato tante volte nel corso dei mesi, perché il suo suono rimane davvero unico.

The Invention Of The Human è in un certo senso un disco ambient, ma non procede per campiture e drones come la maggior parte dei dischi nel genere, quanto piuttosto raccontando un storia dall’inizio alla fine attraverso ogni traccia, in una progressione di suoni e campioni vocali, senza fretta.

È un disco dal suono sobrio, quasi glaciale, eppure a rendere indimenticabili le canzoni sono gli sprazzi di luce e di umanità che si aprono tutto ad un tratto. Dylan Henner ha utilizzato in tutto il disco la voce umana, manipolata in molti modi diversi: a volte è il centro della canzone, a volte è usata come campitura nello sfondo, a volte è quasi impercettibile. Dylan Henner si diverte a giocare con il senso del tempo e dell’attesa, dilatando lo spazio vuoto e la progressione della canzone fino a che è possibile farlo. Ogni traccia si prende tutto lo spazio necessario a fluire, non un secondo di più, non un secondo di meno.

Dice Holden Caulfield (parafrasando) che ci sono libri che ti lasciano senza fiato, tanto da farti desiderare di essere amico per la pelle con lo scrittore solo per poterlo chiamare al telefono quando ti va. Ecco, secondo me vale lo stesso anche per i dischi, e se potessi chiamare qualcuno al telefono sarebbe Dylan Henner. Sì, The Invention of the Human è uno di quei dischi che ti fa pensare che forse l’artista che l’ha creato sa guardare le cose in modo diverso da tutti gli altri, e sa usarle per creare un piccolo mondo nuovo.

The Coldest Season, Deepchord presents Echospace (Modern Love, 2007)

The Coldest Season mi riporta alla dimensione fisica del suono e della musica, alle frequenze e alle vibrazioni che puoi sentire sulla pelle. Mi piace sdraiarmi sul letto e fammi avvolgere da questo blocco sonoro che interagisce con la superficie del mio corpo. Costruito su un rumore di fondo costante e stratificato, a simulare una continua tormenta di neve, il suono di questo disco assomiglia ad un muro di nebbia o di fumo. Emergono lentamente dalla foschia barlumi e suoni che si staccano dal rumore: il basso, la batteria, melodie spezzate.

The Coldest Season è dub techno, ma una dub techno sommersa nel rumore di fondo, stratificata e granulosa. Ascoltandolo più volte ci si rende conto che è un disco sfaccettato, e lentamente emergono le diverse personalità delle tracce che lo compongono. Ci sono accenni di melodie nel disco, accenni di ritmo, che a volte quasi non si riescono a distinguere, come in Ocean of Emptyness. In altre invece il groove spazioso e rilassato fa da protagonista, come Elysian. Chiude il disco con una nota spensierata Empyrean, con le sue melodie vagamente psichedeliche che si rincorrono e si avviluppano.

All Of This Is Chance, Lisa O’ Neill (Rough Trade, 2023)

È difficile parlare della musica di Lisa O’ Neill, anzi, forse non credo neanche che andrebbe fatto. Basta mettere su un suo disco, senza girarci troppo attorno. È difficile parlare della sua musica perché riesce a cantare di quelle emozioni di cui ormai non abbiamo più le parole per descriverle. E anche, banalmente, perché io di folk irlandese ne so meno di zero.

Quest’anno ho ascoltato moltissimo Lisa O’ Neill: il suo EP The Wren, The Wren, ma anche questo suo ultimo disco All Of This Is Chance. Quello che mi ha fatto tornare tante volte alla sua musica severa e spigolosa è la sua voce unica: ruvida, drammatica, malinconica, quasi teatrale. E come se O’ Neill riuscisse a cantare al posto delle pietre, delle montagne, del vento, delle tempeste. Mi dà un senso di nostalgia, nostalgia di qualcosa che manca – che ci manca a tutti, forse – ma che nel nostro tempo non possiamo più sperimentare.

All Of This Is Chance è il suo ultimo disco, uscito quest’anno, ed è meraviglioso come tutti gli altri. Con questo lavoro il suo suono è diventato meno minimale del solito, un po’ più stratificato, rimanendo sempre straordinariamente sobrio e misurato. Ma ci sono drones, parti quasi orchestrali e linee melodiche (la chitarra, ad esempio) ad accompagnare la sua voce.

I testi del disco non vogliono essere soltanto una voce che viene dal passato, una eterna riproposizione delle tematiche del folk, ma piuttosto sono poesie senza tempo, vere oggi come mille anni fa o fra mille anni. Lisa O’ Neill mi riporta ad un mondo arcano, come se stesse riportando alla luce reperti dimenticati sotto terra per secoli e millenni. La sua musica continua a parlare delle stagioni, del vento, dei fiori, della neve, di quelle emozioni ancestrali e universali. Come dice lei stessa: “Per citare lo scomparso suonatore di fisarmonica Tony MacMahon: «In Irlanda, in questa parte di Europa, non siamo governati dalle leggi o dalla meccanica, ma dalle antiche religioni, le antiche credenze, che le rocce e i fiumi e le montagne sono abitati da spiriti»”

Signs, Purelink (Peak Oil, 2023)

Signs è dub techno – si potrebbe anche dire ambient dub – eseguita in modo sopraffino, di un’eleganza che lascia basiti. Il disco presenta escursioni in territori dub, ricchi di echi, drones, riverberi, a cui si aggiunge a volte una batteria sobria, che quasi passa inosservata.

Se alcuni dischi dub techno mi fanno pensare alla notte o alle buie profondità dell’oceano, i Purelink mi fanno pensare piuttosto alle prime ore della mattina, quando fa ancora un po’ freddo e c’è la nebbia, ma il cielo è dorato.

no pare, sigue sigue (TraTraTrax, 2022)

no pare, sigue sigue è una compilation dell’etichetta colombiana TraTraTrax, una specie di manifesto della fusione di ritmi e sonorità dell’America Latina con una visione della musica elettronica più occidentale (che pesca dai suoni bass, techno, breakbeat). Il risultato è un viaggio folle tra sonorità diverse e canzoni incredibilmente creative. I ritmi non sono mai eccessivamente intricati, ma sono sempre interessanti, originali ed euforici. Le tracce sono colorate, schizzate, complesse, piene di cambi repentini e interpolazioni sonore. Alcune più rallentate e costruite sulle texture degli strumenti, altre più potenti e precise. C’è una certa organicità nel suono, soprattutto delle percussioni, ma anche una ricerca di sonorità nuove e digitali.

Non so praticamente nulla di musica latino-americana, quindi non posso andare a sciogliere le mille influenze che fanno da substrato di partenza di tutti questi artisti. Però si riconosce un approccio diverso, più libero e più divertente alla musica dance. TraTraTrax lo esprime meglio di me: “Non c’è una singola etichetta che copra quello che stiamo facendo. E non ti preoccupare, non c’è bisogno di neanche di comprenderlo”.

Le tracce sono sì potenti e perfette per il dancefloor, ma rimane una vena di esplorazione giocosa e di sperimentazione. Si parte dal ritmo martellante e dalle manipolazioni psichedeliche di Verraco, con Ronaldinho hace la helástica. Dall’altro lato dello spettro, si arriva a tracce ispirate ad una techno euforica e classica: Aleteo 1 (Dj Pai) e Mami QTQ (DJ Sosa RD). Nel mezzo c’è davvero di tutto, eppure il suono rimane sempre coeso.

Ammunition & Blackdown present: The Roots of El-B (Tempa, 2009)

Come molte altre persone che non hanno vissuto la nascita della scena dubstep per motivi anagrafici (leggi: mi stavo ancora cagando nel pannetto), sono arrivato ad El-B tramite le interviste a Burial. Come dice lo stesso Burial, quello che affascina dello stile di El-B – una specie di sovversione dello UK garage in una veste oscura ed intricata, con influenze jazz – è il ritmo. Quella capacità del produttore di creare ritmi complessi, intricati, espansi, da esplorare a fondo. Quella asimmetria che ti porta ad inseguire prima il basso, poi gli hi-hat e a cercare di capire come tutti questi elementi si incastrino l’uno nell’altro. Nonostante questo incastro perfetto, le tracce hanno sempre respiro.

Agli inizi della sua carriera, Burial era ossessionato dalla musica di El-B, ed in effetti la sua produzione deve davvero tantissimo a quella di El-B. Quando parla della traccia Stone Cold del duo Groove Chronicles (di cui faceva parte anche El-B), Burial dice: “È dark. Quella canzone non mi è mai uscita dalla testa. Quella traccia mi sta ancora girando nella testa dalla prima volta che l’ho sentita. E riguardo quelle percussioni: sono ancora il futuro. Non è una conoscenza perduta – le persone ancora non sanno come fare quelle percussioni. Ancora non si sa. È come l’ultimo cazzo di segreto rimasto nella musica: come fare quelle percussioni.”

Perché, per quanto ce la possiamo menare, la musica elettronica è sempre stata tutta lì: quelle cazzo di percussioni. Ed El-B è un maestro in questo.

Espectrum: The AvantRoots of Dub Techno Compilation (AvantRoots, 2016)

Sì, se non si fosse capito, questo 2023 è stato pieno di dub techno, o comunque mi sono imbattuto in dischi dub che non potevano non finire in questa classifica. C’è un certo piacere segreto nell’immergersi nel mondo della deep e della dub techno, così chiuso al mainstream, così sempre uguale a se stesso. Sai già esattamente cosa troverai, ma per qualche oscura ragione il suo suono acquatico e ipnotico riesce sempre a non deluderti. Da queste righe sembra emergere che la ricerca e l’innovazione musicale siano totalmente estranee a questa scena, ma non è sempre così e questa compilation dell’etichetta AvantRoots lo dimostra.

L’idea è proprio quella di unire l’eredità della dub techno all’innovazione sonora, per portare questo genere così nostalgico un po’ più nel futuro.

Espectrum: The AvantRoots of Dub Techno è una collezione di meravigliose tracce dub, diversissime tra di loro e piene di mille idee originali. C’è spazio per tutto: per la dub techno più minimale (Refracted), per quella più classica ed elegante (Speaking Waves, Oz o il classicissimo suono di Deepchord), per quella più sporca e granulosa (Non State Theory 02), o per una canzone come Jah is my Driver, che è quasi classica dub. Una compilation in cui continuare a scoprire particolari e chicche sempre nuove, per continuare a ricordarsi che ci sono un sacco di artisti straordinari in giro.

Journey of the Deep Sea Dweller I-IV, Drexcyia (Clone Classic Cuts, 2011)

Ho messo insieme questi quattro dischi perché rappresentano un unico e monumentale viaggio nel mondo acquatico creato negli anni ’90 da James Stinson e Gerald Donald nel corso dei loro primi lavori, ristampati tutti insieme dall’etichetta Clone. Un classico dei classici della techno e dell’electro, cristallino e perfetto ancora oggi.

Ascoltata adesso, la musica dei Drexcyia risveglia sensazioni contrastanti. Da un lato le canzoni suonano nostalgiche: ancora perfette nelle loro mille idee ed intuizioni, ma testimoni di un suono analogico che non può non far pensare agli anni ’90. Dall’altro, però, c’è ancora una freschezza e una capacità di immaginazione che suonano futuristiche. All’apparenza semplice, c’è qualcosa di stratificato e nascosto nella loro musica. Penso che i Drexcyia abbiano bisogno di molti ascolti per cogliere ogni sfaccettatura sonora, e forse me ne mancano ancora un po’.

 

Dismantled Into Juice, Blawan (XL Recordings, 2023)

Dismantled Into Juice parte dalla musica dance, la distorce e la affoga nel rumore fino a creare un viaggio soffocante, ma potentissimo. È un po’ come se Blawan si fosse rotto di tutta la musica che gira nei club, ne avesse preso d’assalto uno e avesse iniziato a sfasciare tutto. A far scoppiare le casse inondandole di distorsione.

In un certo senso, le tracce dell’EP sembrano quasi possibili variazioni su un tema comune, costruite sulla stessa idea di fondo: una batteria distorta e ingombrante, melodie graffianti ma emotive, e la voce umana a dare una certa sensibilità pop.

In questo Dismantled into Juice Blawan è riuscito a mantenersi sul filo del rasoio: da un lato c’è una musica da club decostruita, distorta e portata all’estremo, dall’altro c’è una certa vena melodica, o per lo meno hyperpop (come in You Can Build Me e Dismantled Into Juice). Resta una certa attenzione nello scegliere la melodia che, nonostante tutto, è davvero accattivante. Blawan parte dal club, ma lo usa per creare tracce potenti e fisiche, corrosive ma innegabilmente affascinanti.

Dreams of a Dancefloor EP, Octo Octa (T4T LUV NRG, 2023)

Amo Octo Octa (e la sua inseparabile partner Eris Drew) perché portano avanti senza paura e senza compromessi quella visione della musica dance uscita dagli anni ’80 e ’90, quella di un genere musicale di rivoluzione e di gioia, di scoperta di se stessə attraverso la danza e il suono, di unione con tutte le altre persone. Una visione un po’ hippie della musica dance, per capirci, come di un momento di estasi collettiva. Ideali che a volte suonano naif e che forse noi cinici ci siamo persi per strada, ma è bello sapere che c’è ancora qualcuna che continua a portarli avanti.

Dreams of a Dancefloor contiene tre tracce pazzesche, ma l’ho inserito in questa lista per la prima canzone: Late Night Love è una traccia house classica, ma così euforica, così elegante della scelta dei suoni, così minimale da non stancare mai. Una canzone lunga, un viaggio che non ha fretta di svolgersi e impila ritmi e suoni uno ad uno al momento giusto, spingendo e spingendo senza mai essere troppo. Una traccia semplicemente perfetta.

Mi piace come in questo EP Octo Octa sia riuscita a fondere l’eleganza e l’introspezione dei suoi primi lavori con la gioia liberatoria di altri suoi dischi, per creare tre tracce dal suono classico, ma creative.

lil spirits, Two Shell (Mainframe Audio, 2023)

A questo punto non ho più nulla da dire a mia discolpa: i Two Shell riescono sempre a far uscire tutta la fangirl che è dentro di me. E anche questo EP è innegabilmente tanta roba. Il fatto è che i Two Shell stanno riuscendo a fare qualcosa di necessario e lo stanno facendo nel loro inconfondibile modo: utilizzare l’eredità breakbeat inglese, ma portandola nel futuro, e rendere la loro musica pop, accessibile e weird in maniera davvero intelligente.

lil spirits è davvero un cambio di rotta per i Two Shell, e al tempo stesso il continuo di un viaggio. I due si sono tuffati senza mezzi termini nell’hyperpop, o comunque in una loro versione sghemba e sovversiva del pop. Non hanno più paura dell’emozione, neanche quando questa può sembrare la più sdolcinata. È chiaro che lil spirits è il primo EP che non vuole essere dance a tutti i costi, anche se ha abbondanti momenti ballabili. lil spirits è musica strana e contorta da ascoltare in cameretta, ma anche musica euforica ed emozionante da ballare in un club. Ed è, soprattutto, musica divertentissima.

Illumination, Altinbas (Token, 2023)

Nel 2023 il produttore techno turco-belga Altinbas ha pubblicato un sacco di musica, su etichette importantissime come Token e Fuse Imprint, ma anche sulla sua etichetta Observer Station. Ho scelto di aggiungere alla lista Illumination, ma potevo benissimo scegliere altri EP (Spirit Moves oppure Horizon Glow, ad esempio).

Altinbas fa esattamente il tipo di techno che io adoro: estremamente ipnotica, minimale ma non troppo. È un approccio purista alla techno, ma quando la techno è fatta bene è fatta bene. Le tracce di Illumination (Follow The Eyes è quella che risalta su tutte) hanno un suono ipnotico e profondo, un ponte di incontro tra la deep techno atmosferica e quella più ballabile. Melodie ripetute e notturne, su una batteria semplice e potente.

Now & Zen, DJ Asphalt e Gzardin (Oddysee, 2022)

Ho messo le mani su questo vinile per puro caso, perché il tizio del negozio di dischi me l’ha consigliato, e menomale che l’ho fatto, perché è una bomba. Now & Zen sono quattro tracce potentissime e ipnotiche, che mescolano una cassa dritta e un suono trance a sperimentazioni ritmiche e sonore. Le tracce sono creative, potenti, divertentissime, ti mettono in uno stato di energia e di ipnosi meravigliosi.

Un viaggio dance in un suono liquido, ma incredibilmente energetico.

 

Articolo pubblicato il 10 Gennaio 2023

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