2022 // Hyperdub

Streetlands

Burial

Il mondo degli appassionati di musica elettronica si divide tra chi apprezza la svolta ambient-sperimentale del Burial degli ultimi anni e chi non riesce a farsene una ragione. Io, personalmente, faccio parte della prima categoria, anche se ammetto che a volte è davvero difficile entrare in certi suoi nuovi lavori.

Mi rendo conto che il suono dei dischi Burial e Untrue, ma anche degli EP come Rival Dealer o Kindred sono riusciti a creare degli universi musicali che nel tempo sono diventati iconici. Negli anni ci siamo legati intimamente a quello strano e fragile misto di garage, voci lontane, sintetizzatori alieni, e questo rende ancora più difficile accettare questa nuova direzione. Però, anche solo ripercorrendo la parabola che va dal primo album al secondo e poi attraverso tutti i primi EP, è chiaro che Willian Bevan non è mai stato fermo, non ha mai ripetuto due volte la stessa formula, non ha fatto altro che cambiare e cambiare, rimanendo inconfondibilmente Burial. Ad un certo punto, però, nella sua evoluzione, ha deciso di abbandonare del tutto il beat, ma questo non significa – come alcune persone scrivono – che la sua musica non abbia più nulla da dire.

Anch’io ero caduto nella stessa trappola con il precedente Antidawn, abbandonandolo dopo appena un ascolto. Il fatto è che a volte l’ambient di Burial è talmente impalpabile da passare inosservato, e questo rende difficile entrarci. Ma ne vale la pena, ne vale davvero la pena.

Streetlands è un viaggio perfetto di tre momenti: tre canzoni molto diverse tra di loro che provano ad unire i puntini degli EP precedenti. Hospital Chapel riprende il Burial ambient più classico: soffi di sintetizzatore e cori che si stendono e si dilatano, poi scompaiono e ritornano, quasi a voler tendere il tempo fino all’estremo, fino a farlo scomparire del tutto. I campioni vocali, come in tutto il disco, sono pochi e scelti con cura estrema e ricordano luci che riverberano nella nebbia: in tutta la canzone viene usato un solo campione vocale di una certa importanza. La traccia prende tutto il tempo necessario, non incalza e poi, come è arrivata, lentamente scompare.

Streetlands è il ritorno all’emotività: la melodia profonda e avvolgente – che a tratti si impenna – sottolinea un campione vocale che si ripete nel corso nella canzone manipolato in modi diversi. Poi il suono entra in atmosfere più à la Blade Runner: sintetizzatori appena accennati, altri cavernosi, altri spaziosi e angelici insieme a melodie traballanti e suoni fantascientifici; c’è quasi il tentativo di raccontare una storia nella precisa successione dei suoni. Alla fine della traccia ritorna la voce di partenza a chiudere il cerchio. Per ultima chiude la drammatica e cinematica Exokind: file di note veloci e incalzanti che tornano e ritornano, si innalzano su synth fantascientifici. Il climax è costituito da un coro, forse di origine bulgara. Poi la traccia entra in atmosfere che sembrano riprendere la musica kosmische degli anni ’70. Il suono, come in tutto il disco, rimane analogico e sporco.

Burial ha sempre avuto un amore viscerale per l’oscurità: molti anni fa nelle sue prime interviste si notava come ne fosse attratto in maniera irresistibile. Come una falena ribelle la sua musica sceglieva il buio. Burial era la notte ed era la città. Eppure in questi ultimi anni sembra che si stia avvicinando sempre di più alle prime luci dell’alba. Alcuni elementi che sono il suo marchio di fabbrica rimangono: il fruscio del vinile, la pioggia, le melodie che si interrompono all’improvviso, ma qualcosa sta cambiando. Nel tempo la musica di Burial è diventata sempre più intima, nel senso che si è allontanata dal suono della metropoli per entrare sempre di più nel profondo dell’essere umano, in quell’equilibrio fragile tra la nostra meraviglia e l’oscurità che abbiamo dentro, che per me è tutto quello che la musica di Burial ha sempre esplorato.

Il fatto è che ormai la musica di Burial ha un carico emotivo immenso su di noi, negli anni ci è entrata sottopelle, e non permettiamo che cambi e si evolva. Ma Burial non si è mai accontentato, non si è mai adagiato sulla sua formula base. Ogni sua traccia è diversa dalle precedenti, eppure inconfondibile. Negli ultimi anni ha semplicemente deciso che la sua musica poteva fare a meno dei beats, e così ha fatto. Ma, tolte le apparenze, William Bevan è ancora lì.