2017 // Archives

Short Stories

Shuta Yasukochi

Nel mezzo di una sessione estiva rovente e disperata mi sono imbattuto nella musica di Shuta Yasukochi. Gli opposti si attraggono, mi verrebbe da dire: mentre soffocavo nel mio appartamento al terzo piano Short Stories evocava enormi spazi aperti o boschi incantati. Nel panorama dell’ambient giapponese più classico della Kanyō Ongaku, questo produttore si discosta da quello che ci aspetteremmo, curando un suono che mi sembra a suo agio più in Islanda o in Norvegia, che nel Giappone.

L’ambient di questo produttore giapponese appare a prima vista semplice e minimale, ma non è quasi mai così. Yasukochi lavora stratificando le melodie, e inserendo tra le maglie dei suoni piccoli bagliori che fuoriescono all’improvviso, oppure field recordings abilmente nascosti.

Ad aprire il disco è la straordinaria Into the Forest. Il suono è ampio e si svolge con pazienza. La melodia si alza lentamente e si lascia andare ad una cascata di piccoli bagliori ipnotici e vagamente psichedelici. Nella successiva Far in the Distance il suono è caldo, ma tutta un’atmosfera evocativa e misteriosa percorre la canzone, giocata sulla sua spazialità e i suoi riverberi. Il disco poi procede attraverso canzoni più statiche e minimali, da cui si distingue Daylight, che ritorna ad un suono più aperto e melodico. È davvero difficile provare a descrivere le tracce di Short Stories, perché Yasukochi riesce a realizzare davvero la magia dell’ambient: un suono ineffabile e inspiegabile, che però vive nei suoi mille particolari nascosti, che dice tutto senza fronzoli inutili. Al tempo stesso, il produttore riesce a sfuggire all’anonimità e a creare un suono inconfondibile, ma che riesce a non imporsi sull’ascoltatore.

Short Stories è ambient puro e semplice, malinconico ma evocativo. Le canzoni di Shuta Yasukochi hanno la pazienza di crescere lentamente e non stupiscono a tutti i costi, ma tra le loro maglie si nascondono quei particolari che le rendono davvero speciali.